Amare la sperimentazione
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Luigi Bonotto è uno dei maggiori collezionisti di Fluxus, a livello mondiale. “Fluxus non è un movimento artistico, è un atteggiamento verso l’arte”, dice a proposito dell’oggetto della sua passione. Quella del collezionismo non è per lui una “magnifica ossessione”, prendendo a prestito per attinenza il titolo della mostra che celebra a Rovereto le collezioni del Mart, “si tratta piuttosto di una passione per le forme di rappresentazione che hanno attraversato il mio tempo, e in particolare per quelle in cui ho intravisto una sintonia coi miei pensieri, che si esprimevano con un linguaggio che sentivo anche mio”.
Questa passione ha dato i suoi frutti, cresciuti e maturati in circa quarant’anni di ricerca e di attività, i più succosi sono la raccolta d’arte contemporanea e l’archivio che portano il suo nome.
L’Archivio Bonotto, nato ufficialmente nel 2006, è sorto accanto al progetto di istituire una Fondazione e all’intento di allestire a Bassano del Grappa, la città dove Bonotto vive attualmente, un centro culturale polivalente dedicato alla divulgazione di opere intellettuali e artistiche contemporanee: l’idea era quella di creare in un territorio e in luogo fisico con le credenziali adatte allo sviluppo dell’iniziativa – fu individuato e acquisito lo stabile che ospitava un ex Macello, una scelta curiosamente ricorrente per queste destinazioni d’uso, a Prato come a Brema, e fu commissionato a un équipe di esperti uno studio approfondito per valutare e programmare gli step dell’evento – un ambiente fluido in cui la Collezione riguardante Fluxus e la Poesia concreta, visuale e sonora, agisse da anticoagulante per rimettere in circolo le energie e le alchimie innovative di cui migliaia delle opere che sono state archiviate sono portatrici; in prospettiva, questa azione avrebbe attivato la circolazione di un nuovo fermento culturale.
Oggi, a distanza di più di sei anni, di questi intenti sopravvivono le intenzioni – in questo inizio 2013 ci sono dei segnali positivi, un’apertura al dialogo e una nuova attenzione da parte dell’Amministrazione locale per la realizzazione del progetto – e il lavoro relativo all’Archivio: in attesa di trovare una formula giusta per avviare le attività della Fondazione, Bonotto ha pensato di cogliere le opportunità che offrono la tecnologia e la rete e sta mettendo l’intero Archivio on line. Il sito è ancora in costruzione, la quantità di materiale da inventariare è enorme e poi anche sul web la burocrazia frappone mille ostacoli nel percorso di attuazione di imprese come queste, penalizzate anche dall’avere pochi precedenti.
Luigi Bonotto è un collezionista atipico, è profondamente alieno alle forme di mercificazione e di mercato riguardanti l’arte: “Se penso a un investimento penso a un immobile, a un terreno. Le opere che possiedo mi sono state donate dagli artisti che ho frequentato, che ho ospitato o con i quali sono stato in contatto”. Anche in questo aspetto è fedele ai principi originari e al manifesto di Fluxus (il “flusso”, battezzato così da George Maciunas nel ’61, era aperto, legato al quotidiano, antielitario; proclamava “Tutto è arte e tutti possono farne; l’arte deve essere accessibile a tutti”; al gesto perentorio-machista del genio preferiva l’atto creativo espresso da/per una collettività). Bonotto incarna in senso storico la figura del collezionista borghese: “Se guardiamo ai natali la mia famiglia viene dalla terra; l’artigianato, il commercio e poi l’industria sono venuti dopo” – ci tiene a precisare.
È una persona appassionata d’arte la cui ottima competenza in un settore specifico, l’arte neo-dada, non nasce tanto da un curriculum di competenze avanzate, tecniche e professionali, ma più dalla grande familiarità che ha sempre cercato con gli artisti e le loro opere. A metà degli anni ’80, epoca del decollo della sua azienda tessile, il Lanificio Bonotto di Molvena (un paesino della pedemontana veneta che rientra nel territorio dell’Innovetion Valley, lo stesso indirizzo di altri due talenti imprenditoriali come Lino Dainese e Renzo Rosso), Bonotto ha iniziato una frequentazione assidua con gli artisti di Fluxus e con le loro opere. La sua passione per Fluxus era ben vitale già negli anni Settanta, nutrita e cresciuta da incontri e conversazioni con Francesco Conz, imprenditore e mecenate di Asolo, con Rosanna Chiessi, gallerista a Reggio Emilia e fondatrice della casa editrice “Pari&Dispari” e poi con Emily Harvey, Armin Hundertmark, Harry Ruhé, Emmett Williams, Philip Corner. Bonotto ha conosciuto Marcel Duchamp e ha frequentato, solo per elencare alcuni nomi, John Cage, Robert Rauschemberg, Ben Vautier, Joseph Beuys, Yoko Ono, Ben Patterson, Dick Higgins (che gli ha dedicato un ritratto), Milan Knizak che ha creato una particolarissima “Bonotto History in Mimicry”; tra gli italiani è stato amico di Giuseppe Chiari e Gianni Emilio Simonetti. Sono una settantina gli artisti Fluxus le cui opere compaiono nell’Archivio, e 120 i poeti del movimento “Poesia concreta, visuale e sonora” catalogati, tutti personaggi che Bonotto ha conosciuto personalmente e di cui conserva ricordi che, grazie ai documenti “salvati”, sono trasformati in storia, in narrazione: “Mi interessa mantenere vivo e documentare il lavoro di queste persone. Mi impegno a promuovere le loro opere e la loro poetica raccogliendo orme e tracce del loro passaggio nel mondo dell’arte. Per loro natura, tante di queste opere, così legate come sono alla performance, all’evento, a gesti effimeri, sparirebbero con molta facilità. Il salto a pie’ pari del mercato, della galleria, il loro essere in gran parte “Intermedia”, come le definì Dick Higgins, ma anche solo il proposito dei Fluxers di rivolgersi senza intermediari ai loro fruitori e di considerare l’interazione parte stessa dell’opera prodotta, ha reso latitanti molti eventi Fluxus dalla storia dell’arte contemporanea”.
L’Archivio è imponente, comprende 5000 schede particolareggiate che rimandano a fotografie, filmati, riprese video e sonore, musica. Niente pittura e scultura, ma arte a 360°, a ogni clic si aprono crocevia di linguaggi e di forme creative diverse ricchi di una buona dose di ironia, di sguardo divergente, di provocazione. Alcune opere hanno ancorata la loro carica eversiva agli anni in cui sono state prodotte; tante mantengono intatto il loro potenziale comunicativo; altre parlano un linguaggio che pare anche ai nostri giorni futuribile. La raccolta, appena ultimata, offrirà un totale approssimativo di 400 ore di consultazione.
Fuori dal mondo virtuale, nel 2012, anno che celebrava i cinquant’anni dalla sua nascita, l’Archivio ha promosso, e contribuito materialmente, alla realizzazione di tre eventi a tema dedicati al fenomeno Fluxus: l’esposizione di Wiesbaden (Germania) ha riproposto le atmosfere del primo festival Fluxus che ha avuto luogo nella città tedesca nel ‘71; a Chiasso (Svizzera) una mostra ha messo in evidenza l’attenzione particolare per la grafica espressa dai Fluxers; a Reggio Emilia – l’epicentro italiano di Fluxus negli anni ’70 – fino al 10 febbraio 2013 è stata visitabile la mostra “Women in Fluxus & Other Experimental Tales”. “L’esposizione ha rivolto l’attenzione alle donne che hanno animato il flusso con le loro opere” ha spiegato Bonotto “a quelle artiste che negli anni Sessanta-Settanta hanno cercato un linguaggio nuovo per esprimere la mediazione del corpo femminile nella conoscenza e nell’arte, che hanno ‘raccontato’ il suo passare, in un transito reversibile, da oggetto a soggetto. A Palazzo Magnani comparivano tra le altre alcune opere di Yoko Ono; le performance per corpo e strumenti di Charlotte Moorman; il Vagina Painting di Shigeco Kubota, che intendeva smantellare con un solo gesto la mitologia apparentemente infinita delle virili performance pittoriche di Pollock”.
Il rapporto di amicizia di Bonotto con Yoko Ono è noto e di lunga data: “Abbiamo progettato e realizzato assieme una celebre scacchiera interamente bianca, un simbolo di pace; più recentemente, nel 2009, quando lei fu invitata a Venezia alla Biennale per ricevere il Leone d’Oro alla carriera, il nostro sodalizio ha dato origine a un evento artistico realizzato a livello nazionale: distribuimmo degli enormi manifesti bianchi con la scritta “Dream” in moltissime città italiane, era un invito rivolto a tutti al sogno, alla felicità. Yoko è un’artista molto concettuale, e un’amica. Ma tutti gli artisti che ho incontrato mi hanno lasciato qualcosa, il contatto con loro mi ha arricchito, ha contribuito alla mia formazione e ha influenzato pure i processi produttivi della mia azienda: anche sul lavoro, con l’aiuto dei miei figli, ho applicato la stessa logica morbida, flessibile, fluttuante”.
Al di là dell’opera di divulgazione, è interessante anche la testimonianza di questa esondazione perpetua, lo sconfinamento dell'atto creativo e dell’arte nel flusso della vita quotidiana.
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