Aprire le aziende ai linguaggi dell'arte

Articolo su "Il Giornale di Vicenza" 24 marzo 2025

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"Vogliamo che la fabbrica sia il luogo del bello e, allo stesso tempo, un ambiente sociale nel quale realizzare progetti economici e culturali. Per questo la nostra fondazione sta da sempre, fisicamente, nella nostra fabbrica"
Nel saluto di Giovanni Bonotto, sabato sera a Colceresa nella tessitura-museo voluta dal padre Luigi è racchiuso il senso dell'appuntamento in cartellone per il Festival "Poetry Vicenza". La fabbrica di tessuti preziosi che anche un'esposizione permanente di opere d'arte contemporanea dei movimenti “Fluxus" e “Poesia Visiva” ha incontrato le poetesse Katalin Landik e Cia Rinne, entrambe vincitrici del premio Bernard Heidsieck per le nuove forme di letteratura.
Dall'incontroconloro, nel segno della poesia d'avanguardia, è scaturito l'invito che Bonotto ha rivoltoall'inizio ai colleghi imprenditori: «Apriamo le nostre fabbriche all'arte e alla contaminazione tra linguaggi». Linguaggi che per entrambe, serba-ungherese l'82enne Ladik, svedese con formazione pan-europea la 51enne Rinne, non si limitanoalla sola parola.
Il loro modo di fare poesia (per Ladik nella performance “Foreign substance Transformations of remembering”: per Rinne in “Wasting my Grammar”) sta tra teatro, videoarte, coreografia e installazioni in un linguaggio a più significati che, per citare Michel Foucault è un “archivio dei saperi" in movimento. Così, la poesia di Katalin Ladik è un'antologia di frasi in ungherese, suoni e immagini, ma più dei significati verbali, a stupire sono altri due aspetti. Innanzitutto il montaggio degli elementi, di fattoun'enfatizzazione di quanto accadeogni giorno nella comunicazione web; in seconda battuta, il fatto che molti dei suoi lavori risalgano a quaranta e più anni fa. È la stretta contemporaneità ante litteram, quando ciò che sperimentiamo quotidianamente si poteva solo immaginare. E ci volevano le capacità visionarîe di una poetessa celebre pergli interventi a Radio Novi Sad per anticipare il tempo di quasi mezzo secolo. L'uso del magiaro, lingua non indoeuropea, accentua il senso di alterità e straniamento che invita gli ascoltatori a concentrarsi sul suono in sé e sulla sua forza creattice. Apparentemente più immediata, la poetica di Cia Rinne offre almeno due livelli di lettura. Su un primo piano, c'è la capacità dell'autrice poliglotta, (svedese formatasi in Germania, con passaggl in Grecia e Finlandia, capace di padroneggiare un francese e un inglese eccellenti, italiano e spagnolo molto buoni) di giocare con le assomanze tra le lingue passando da “Milano” a “Melanie”, da ‘O sole mio” a ‘Yo emi solo' a “You and me soul". Più in profondità, c'è, invece, il tema della parola come strumento che esplora a frontiera, corre sul confine e invita a superarlo nell'incontro con
l'altro. Questo in un processo che coinvolge anche il gioco come strumento di conoscenza e chiama lo spettatore a essere partecipe.

Lorenzo Parolin

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